mercoledì 14 novembre 2007

La Destra Incazzata


Eccoli, finalmente... una destra seria, dura, onestamente nostalgica. Pronta a raccogliere tutto e tutti. Dai vaffanculisti di Grillo fino ai giovani di svastiche appassionati.
Mentre la Santanche biascica : "siamo incazzati, abbiamo la bava alla bocca" (noblesse oblige) , Berlusca gongola come il nano Gioiolo, quel rompi-rompi di Fini trova le sue legioni rimaneggiate e non potrà più fare la voce grossa. Una legge del marketing dice che i fornitori di un'azienda devono essere "molti e malaticci" : ecco una splendida applicazione di questo principio.
Tenetevi la vostra bava e tutti i vostri umori: bile, urina, liquido sinoviale e quant'altro. Qui abbiamo bisogno di coraggio, onestà e capacità.

lunedì 12 novembre 2007

Lucia Bosè


La signora dai capelli blu è apparsa domenica 11 Novembre 2007 in una trasmissione che io adoro. Si chiama Anni Luce, su LA7, e parla della televisione antica, precommerciale, premediaset.
Benchè la madre di Miguel Bosè potesse apparire stravagante con la sua acconciatura deve dire che ès tata elegante ed intelligente nel raccontare i suoi tempi. Mi chiedo da chi abbia invece preso il figlio...

venerdì 9 novembre 2007

L'impero di Cindia di Federico Rampini


Cina, India e dintorni: la superpotenza asiatica da tre miliardi di persone

La tesi è forte: l'asiacentrismo sarà il destino del terzo Millennio; le grandi sfide dell'umanità si giocheranno in Cindia. La crasi di Cina e India non va intesa come un insieme di spazi geopolitici, non è semplice somma di popoli, ma come il nuovo centro propulsivo del mondo. Il segnale di tutto questo è stato il ruolo decisivo che gli sviluppatori indiani hanno dato alla soluzione del Millennium Bug: questa è stata l'ora X nella quale il mondo si è accorto delle competenze tecnologico-scientifiche, unite al potenziale innovativo, che i giovani laureati indiani possedevano. Il numero è potenza: tre miliardi e mezzo di persone fameliche di emergere, crescere e conquistare i mercati mondiali, decideranno del nostro futuro. Saranno loro i padroni della globalizzazione. L'Europa da assediante si trova assediata: la delocalizzazione della produzione e dei servizi resa anche sempre più agevole da Internet, non si spiega solo con il basso costo del lavoro, delle materie prime e dell'energia, ma anche con la modernità delle infrastrutture, con l'efficienza produttiva e la voglia di crescita delle persone. Tutto questo non ci deve far dimenticare che in Cindia sono presenti ancora stridenti contraddizioni sia tra le due realtà sia al loro interno. L'India è la più grande e plurale democrazia del mondo, mentre la Cina rimane un monolitico regime totalitario; nella prima permangono evidenti squilibri e miserie sociali, nella seconda le violazioni dei diritti umani sono all'ordine del giorno. La soluzione di questi problemi ci vedrà semplici e passivi spettatori?

La civiltà dell'antica Roma di Pierre Grimal


La civiltà dell'antica Roma
La storia secolare di una città e di un popolo che hanno lasciato al mondo un'eredità indimenticabile.
Newton&Compton


Pierre Grimal (1912-1996) conosce a fondo “l’anima romana”... con questo titolo, ripubblicato da Donzelli nel 1998, l’autore - tra i massimi esperti della cultura latina a livello mondiale - “riportava” un dialogo tra il giovane Marco Annio Vero, futuro imperatore con il nome di Marco Aurelio, e il suo maestro, il filosofo Frontone. Un dialogo immaginario, ma tra personaggi reali, che riusciva con efficacia a sintetizzare i cardini della grandezza e del valore della civiltà di Roma.
Oggi Newton & Compton Editori ripropongono un suo testo classico, La civiltà dell’antica Roma.
Si tratta di un invito a conoscere l’eredità culturale della civiltà romana, ripercorsa dall’autore attraverso una sintesi della sua storia (prima parte), l’analisi dei suoi costumi, leggi e produzione artistica (seconda parte), la riflessione sui valori, sugli aspetti della vita quotidiana e sull’immagine che diedero di sé le grandi città imperiali (terza parte).
Una civiltà che, nonostante ci appaia oggi “nello scorcio dei secoli, come una civiltà urbana”, amò considerarsi “contadina” anche all’apice del sul splendore: un sapiente equilibrio tra innovazione e tradizione la rese universale e, con le sue luci e le sue ombre che l’autore mette in risalto e contrasto, rappresenta uno dei grandi momenti della storia dell’umanità.

Passaggio in India

Passaggio in India
Regia: David Lean
Interpreti: Judy Davis
Victor Banerjee
Peggy Ashcroft
James Fox
Alec Guinness
Produzione: Gran Bretagna, 1984
Durata: 165'
Tratto dal romanzo Passage to India di E.M. Forster, pubblicato nel 1924, il film è ambientato nell'India degli anni venti, sottoposta al dominio coloniale inglese. L'anziana signora Moore, madre di Ronny, funzionario governativo in India, e la futura nuora Adela Quested sconvolgono con il loro arrivo la comunità inglese di Chandrapore, una città indiana situata sul corso del Gange.
La signora Moore, vivace, curiosa, attenta e interessata agli altri, poco propensa a trascorrere il soggiorno tra dirigenti britannici, si reca a visitare la moschea, dove incontra Aziz, un giovane medico indiano, buon conoscitore della cultura inglese per aver studiato in Inghilterra. Tra i due si stabilisce un rapporto di simpatia e una frequentazione assidua, in cui rimane coinvolta anche Adela.
Un giorno Aziz invita entrambe le donne a visitare le grotte Marabar, raggiungibili solo con un lungo e difficile viaggio. Mentre la signora Moore si riposa, Adela entra in una grotta, affascinata dall'idea di ascoltare la famosa eco e ne esce sconvolta.
L'episodio centrale del film rimane avvolto in un alone di magia e di mistero. È l'inizio della fine: al ritorno Aziz viene arrestato con l'accusa di averla aggredita; nella città si crea un clima di tensione e di sospetto tra inglesi e indiani. Tutti i funzionari governativi britannici, tranne l'insegnante Fielding, sono convinti della colpevolezza di Aziz e lo sottopongono a processo.
Passata la confusione iniziale, Adela scagiona Aziz e rompe il fidanzamento con Ronny; nel frattempo la signora Moore muore durante il viaggio di ritorno in Inghilterra voluto dal figlio. Anche Adela fa ritorno in patria e questo, insieme alla rinuncia di Aziz a un risarcimento per l'ingiusta accusa, fa sì che i già problematici rapporti di convivenza tra indiani e inglesi si deteriorino definitivamente. Una possibilità di riconciliazione sembra potersi realizzare nel finale del film, quando il professor Fielding, tornato in India dopo un viaggio in Inghilterra, incontra di nuovo Aziz; questi si riconcilia con lui, dopo aver scoperto che Fielding ha sposato Stella Moore, figlia minore della signora Moore. Il conflitto tra la civiltà britannica, rigida e ipocrita, e la civiltà indiana, più aperta e autentica ma sospettosa, è il tema principale del film. I personaggi che incarnano le due opposte mentalità sono Ronny e Aziz: il primo è convinto del proprio ruolo di uomo di giustizia e di pace e non considera gli indiani come individui, ma come pedine di un ordine stabilito; il secondo è un sostenitore dell'indipendenza dell'India e della necessità di allontanare gli inglesi, verso i quali nutre una decisa diffidenza. Il film, pur molto fedele al romanzo, lascia aperto uno spiraglio di speranza per quanto riguarda i rapporti tra inglesi e indiani, che Forster nel suo testo non prevedeva. Nondimeno David Lean riesce a ricostruire in modo straordinario il clima dell'India dell'epoca e il fascino che la cultura indiana era in grado di esercitare su coloro che erano disposti a considerare l'India non una terra selvaggia, ma una civiltà ricca di tradizioni e di saggezza.

Pompei di Robert Harris

Robert Harris

Pompei
79 d.C. Venti ore alla catastrofe
Mondadori
Non un saggio storico, ma un romanzo che tratteggia un contesto storico non solo attendibile e verisimile, ma anche documentato. Tra finzione di personaggi frutto di pura invenzione, come Marco Attilio, il protagonista, ingegnere addetto alla manutenzione e sovrintendenza dell'acquedotto campano Aqua Augusta, e la rappresentazione di personaggi storici quali Plinio il Giovane, si snoda un thriller avvincente che porta il lettore a vivere “le ultime ore” di Pompei in una dimensione reale.
L'autore, Robert Harris, si distingue per la sua predilezione per il romanzo che con la grande storia si intreccia, la cui lettura oltre a fornire contestualizzazioni rigorose stimola la curiosità e quindi suggerisce l'approfondimento.
Oltre Pompei, interessante viatico alla storia della Roma imperiale, sono noti e degni di attenzione, Enigma, la storia della decifrazione del famoso codice segreto tedesco durante la Seconda guerra mondiale ove il nome fittizio di Tom Jerico rivela la vita di Alan Turing; Archangel, ambientato nell'Unione Sovietica post-staliniana; e, infine, il più noto Fatherland pensato in una dimensione fantapolitica di una Germania del 1965 nella quale Hitler ha vinto la Seconda guerra mondiale.
Tutte finzioni quindi, ma intimamente connesse con la storia; perché allora non valorizzarle come strumenti per avvicinare gli studenti alla storia stessa?

La masseria delle allodole



Regia: Paolo Taviani, Vittorio Taviani
Interpreti:
Paz Vega,
Moritz Bleibtreu,
Alessandro Preziosi,
Angela Molina,
Mohammed Bakri,
Yvonne Sciò,
Ubaldo Lo Presti,
André Dussollier


La persecuzione contro gli armeni residenti nell’impero ottomano venne scatenata tra il 1915 e il 1918 dall’ideologia razzista dei Giovani turchi, mentre l’attenzione era distratta dalla Grande guerra. Ma la persecuzione aveva origine nell’innata e inconfessata insofferenza che ottomani e curdi di Anatolia avevano sempre manifestato nei confronti della minoranza armena, portatrice di valori religiosi (gli armeni sono cristiani) e culturali diversi. Oggi assistiamo finalmente a una ripresa di interesse – legata alla possibilità dell’ingresso della Turchia nell’Unione europea – e di studio verso quel periodo e quella strage, interesse che si manifesta attraverso interventi, indagini storiografiche, romanzi, come quello di Antonia Arslan, premio Campiello 2004, cui si sono ispirati i fratelli Taviani.
Il film narra il genocidio perpetrato dai turchi sul popolo armeno, attraverso gli occhi di una famiglia in gran parte sterminata: quella dei fratelli Avakian, il minore dei quali, Aram, è rimasto in patria, mentre l'altro, Assadour, è da tempo emigrato in Italia per studiare medicina a Padova. Alla morte del padre, nel 1915, i due progettano di ritrovarsi nella loro terra d’origine e per l'occasione Aram fa restaurare la “masseria delle allodole”, la villa di campagna che il padre ha lasciato in eredità ad Assadour. Ma il massacro perpetrato dai turchi sul popolo armeno colpirà la famiglia di Aram e bloccherà il ritorno di Assadour, che cercherà di organizzare la fuga dei suoi nipoti. Fedeli a un modello di cinema ormai dipanatosi nel corso di quasi mezzo secolo, i fratelli Taviani confermano anche con La masseria delle allodole la ricerca di un percorso narrativo che unisce e mescola le dinamiche della grande storia con le piccole grandi storie dei protagonisti. L’attenzione ai particolari, così come la direzione di un nutrito e affiatato gruppo di donne, costituiscono il perno centrale del film. I particolari testimoniano il senso di passione del popolo armeno e il mistero verso la sua sorte, come le molte serrature o le spesse tende dalle quali si sbircia la realtà, vera e figurata; le gambe dei tavoli sotto i quali si rifugiano i bambini; i passi della gente che sfila al funerale del patriarca o nel deserto dell’Anatolia, verso Aleppo. Una tragedia collettiva dimenticata che il film ha il pregio di rendere manifesta.

Barry Lyndon


Un film, un romanzo
Il film Barry Lyndon (1975), diretto dal regista americano Stanley Kubrick (1928-99), è tratto dal romanzo omonimo dello scrittore inglese William Thackeray (1811-63) ed è ambientato nell'Inghilterra del Settecento.

La vicenda
Redmond Barry, giovane irlandese di modeste origini, fugge dal paese natìo, in seguito a un duello con un ufficiale dell'esercito. Per evitare di essere processato, Barry si arruola nell'esercito inglese e partecipa alla guerra dei Sette anni (1756-63). Fatto prigioniero, viene costretto a svolgere il ruolo di spia presso gli inglesi; dopo un breve periodo riesce però a fuggire con l'aiuto di un diplomatico di origine irlandese, il cavaliere di Balibari. Quest'ultimo è in realtà un avventuriero che viaggia per l'Europa frequentando i salotti aristocratici in veste di giocatore di professione. Sinceramente affezionato a Barry, il cavaliere Balibari decide di condurlo con sé nei suoi viaggi e di insegnargli il "mestiere" di giocatore (e di baro). L'esperienza per Barry riveste grande importanza, perché il giovane impara a frequentare gli ambienti aristocratici, anche se essere "giocatori" comporta i suoi rischi, specialmente quando si viene sorpresi a barare. Dopo una lunga serie di peripezie - amori, fughe, duelli - Barry trova l'occasione della sua vita: conosce Lady Lyndon, giovane aristocratica, vedova e madre di un bambino, Bullingdon. I due si innamorano e si sposano e Barry a questo punto sembra essere arrivato al culmine del successo: può contare sulle ricchezze della moglie dalla quale avrà anche un figlio e gli si presenta la possibilità di acquistare un titolo nobiliare. Ma la situazione precipita e la fortuna abbandona Barry: il giovane figlioletto muore in un incidente e Barry, che lo aveva profondamente amato, disperato comincia a disinteressarsi a qualsiasi attività che aveva intrapreso; sfuma inoltre la possibilità di acquisire l'agognato titolo nobiliare. A complicare ulteriormente la vicenda, peggiorano sempre più i già difficili rapporti di Barry con Bullingdon che lo detesta da sempre. Raggiunta la maggiore età, il giovane sfida a duello il patrigno che, esperto di duelli, rinuncia a combattere davvero per timore di uccidere il ragazzo. Questi invece ne approfitta e ferisce gravemente Barry. Dopo il duello Barry, che ha perso l'uso di una gamba, verrà scacciato dalla casa di Lady Lyndon e farà ritorno in Irlanda, poco più ricco di quando era partito.

La ricostruzione storica
Il film presenta molti spunti di grande interesse storico. Innanzitutto è una ricostruzione precisa degli ambienti tardo settecenteschi. L'abbigliamento, le acconciature e il trucco degli attori imitano con molta cura l'originale settecentesco in tutti i particolari, persino nella biancheria intima (Kubrick lo riteneva un elemento importante perché voleva che gli attori si muovessero sul set come personaggi dell'epoca). Per rendere ancora meglio l'idea dell'ambiente reale del Settecento, privo di luce elettrica, Kubrick utilizzò per alcune riprese una pellicola talmente sensibile da poter raccogliere l'immagine con il semplice utilizzo della luce delle candele. Anche le scene di combattimento mostrano con molta accuratezza le strategie belliche prima delle novità introdotte da Napoleone alla fine del XVIII secolo. Il film però è anche una preziosa ricostruzione della società europea settecentesca che, dietro gli ambienti sontuosi, gli abiti eleganti e le buone maniere, nascondeva una realtà ben diversa. Si tratta infatti di un mondo in cui la violenza svolge un ruolo di primo piano, come mostrano le scene sulla vita militare, sulla guerra, la composizione dei contrasti attraverso i duelli. Ma soprattutto è un mondo in cui le differenze di ceto sono ancora molto rigide, come è dimostrato dal fallimento della scalata sociale di Barry. D'altro canto, la società dell'epoca, ricostruita nel film, è dominata anche dall'egoismo, dalla ricerca della ricchezza e dalla strumentalizzazione dei rapporti umani. In fondo il fallimento di Barry è il risultato, non solo del rifiuto della nobiltà di accoglierlo tra le sue fila, ma anche della sua incapacità di essere egoista fino in fondo, di avere al contrario umane debolezze: l'amore sincero per il figlio, la cui morte l'ha condotto alla disperazione e la scelta cavalleresca di non uccidere il figliastro, che gli costa la mutilazione e la perdita di tutti i privilegi.

Il gladiatore



Regia:
Ridley Scott
Produzione: Dreamworks, USA 2000
Interpreti:
Russell Crowe
Joaquin Phoenix
Connie Nielsen
Oliver Reed
Richard Harris
Durata: 155'


l film

Con il film Il Gladiatore, realizzato negli Stati Uniti d'America nel 2000, si è assistito al ritorno, da parte dei produttori cinematografici americani, al cinema storico di ambientazione romana che era stato abbandonato per alcuni decenni. Ovviamente molte cose sono mutate nel modo di girare questi film rispetto al passato. Le scenografie sono più spettacolari e dettagliate, soprattutto per merito dei nuovi strumenti elettronici e informatici utilizzati nell'elaborazione dei film. Anche il linguaggio delle immagini è cambiato: prevale oggi un linguaggio molto più concitato, fatto di frequenti cambi di inquadratura e di movimenti di macchina molto veloci. Che dire invece della verosimiglianza storica? Da questo punto di vista Il Gladiatore sembra rientrare nella tradizione dei film tanto suggestivi e spettacolari, quanto non sempre attendibili sul piano della precisione storica. Ciò non toglie, come vedremo, che anche questa pellicola, pur con i suoi limiti, possa fornire qualche utile informazione storica.

La trama
Il Gladiatore narra le vicende del generale romano Massimo che, dopo aver portato a termine vittoriosamente una campagna militare contro le popolazioni germaniche, viene designato dall'imperatore Marco Aurelio a succedergli al trono. Il figlio di Marco Aurelio, Commodo, venuto a conoscenza di questa decisione, uccide il padre prima che l'abbia resa pubblica e, divenuto imperatore, ordina ai pretoriani di assassinare Massimo e la sua famiglia. Massimo, benché ferito dai pretoriani e sconvolto per la morte dei familiari, riesce a sopravvivere, ma viene ridotto in schiavitù e costretto a fare il gladiatore. Tornato a Roma in tale veste, riesce infine a uccidere l'imperatore e a vendicare Marco Aurelio e la propria famiglia.

La Roma della fine del II secolo
Come si può notare già dalla trama del film, Il gladiatore contiene molte inesattezze storiche. Innanzi tutto, secondo le fonti dirette in nostro possesso, Marco Aurelio (121-180) morì di peste e non fu ucciso dal figlio Commodo (161-192). Quanto a quest'ultimo, è probabilmente vero che fu una sorta di psicopatico che governò Roma in modo tirannico e capriccioso. Non corrispondono invece alla realtà storica le vicende relative alla sua morte. Morì, infatti, in seguito a una congiura di palazzo organizzata da alcuni suoi favoriti, timorosi di non essere più nelle sue grazie. L'esecutore materiale dell'omicidio fu effettivamente un gladiatore; questi, però, non era un ex generale romano e l'assassinio ebbe luogo in un palazzo imperiale e non certo nell'arena del circo.
Ma soprattutto appare assai poco corretta la ricostruzione della situazione politica dell'epoca. A un certo punto del film si attribuisce a un gruppo di senatori il progetto di restaurare la repubblica, che viene descritta come un'istituzione democratica. In realtà, anche prima della nascita dell'impero, la repubblica romana era un sistema politico di tipo prevalentemente oligarchico, con ristretti spazi di democrazia. Inoltre è piuttosto improbabile che alla fine del II secolo d.C. vi fossero molti senatori disposti a battersi per la restaurazione della repubblica; il loro principale obiettivo era più probabilmente quello di mantenere i propri privilegi e di essere coinvolti dall'imperatore nella gestione dello stato romano.

La battaglia contro i germani
Una delle scene più spettacolari del film è senza dubbio quella iniziale, in cui viene rappresentata una battaglia contro le popolazioni germaniche conclusa vittoriosamente dai romani. Benché molto suggestivo, questo episodio non è privo di imprecisioni e anacronismi storici. Il più clamoroso è quello riguardante le tecniche di cavalcatura e l'uso della cavalleria in battaglia. Nel film i romani cavalcano usando le staffe, il che è impossibile, visto che questo finimento verrà introdotto in Europa non prima dell'VIII-IX secolo. Inoltre, non potendo controllare saldamente i cavalli con le staffe, i romani non avrebbero potuto realizzare un'azione di cavalleria come quella rappresentata nel film, che avviene su un terreno molto ripido e addirittura in mezzo a una foresta.
Tuttavia, al di là di questi e altri anacronismi, la scena della battaglia è dotata di un indubbio valore storico. I due eserciti vengono infatti rappresentati secondo due concezioni contrapposte della guerra: disciplinati, organizzati e tecnologicamente avanzati i romani; forti e coraggiosi, ma anche del tutto disorganizzati i germani. In questo modo il regista del film riesce a comunicare allo spettatore, attraverso le immagini, alcune delle caratteristiche della civiltà romana che ne garantirono il successo e l'espansione: l'organizzazione, la disciplina, la tecnica.

I gladiatori e i lari
Due altri temi sono trattati in modo sostanzialmente corretto nel film: le lotte tra i gladiatori e le concezioni religiose. Le scene di lotta fra gladiatori abbondano e in genere sono caratterizzate da una violenza molto accentuata. La violenza di questi “giochi” corrisponde alla realtà storica, così come non è una forzatura il fatto che questi spettacoli, nonostante la loro estrema violenza, fossero molto apprezzati dai romani.
Più interessante è però la rappresentazione delle credenze religiose dei romani. Il film insiste molto sulla fede nell'oltretomba, che sicuramente nel II secolo era molto diffusa nell'Impero romano. Ma l'aspetto più originale della rappresentazione della religiosità romana è costituito dall'insistenza sul culto degli antenati. Il protagonista Massimo viene infatti spesso mostrato mentre prega di fronte a idoli che rappresentano i parenti defunti. Ebbene, riti di questo genere, dedicati cioè agli spiriti divinizzati degli antenati – che i romani chiamavano “lari” – costituivano effettivamente una delle tradizioni religiose più antiche e più sentite dalla popolazione; sottolineandone l'importanza nella vita del protagonista, il regista ci permette dunque di capire meglio un altro aspetto fondamentale della cultura e della civiltà dei romani.

E il conflitto di interessi?

Romano Prodi il 4 Maggio 2007 a Radio Anch'io ha detto che "sul conflitto di interessi la maggioranza andrà avanti"...
Oggi siamo a Novembre... e della legge non si sa niente... allo stesso tempo le spallate si fanno sempre più robuste....
Tornato Berlusconi al governo, li umilierà ancora una volta dicendo (come l'altra volta) che la legge la sinistra non la vuole, perchè per due legislature non l'ha fatta.
E' umiliante.
FATE LA LEGGE SUL CONFLITTO DI INTERESSI!!!!!

Tempo Reale (giovedì 8/11/2007)


Non mi piace Santoro, lo trovo piagnone, melodrammatico e populista. Ma ieri ci ha fatto capire a che punto siamo.
Il punto è che Berlusca doveva stare zitto. Doveva tacere. Invece con uno stile e una classe degna dell'omuncolo qual'è, ha deciso che doveva replicare all'ondata emotiva che stava montando e cercare di arginarla. Nel modo più meschino ma che è più consono e coerente al suo agire politico e mediatico. Mentendo.
Mi son sentita piena di rabbia, di coraggio di indignazione quando ho sentito le parole della figlia di Enzo Biagi.

L'Editto Bulgaro

"..dico che Biagi, Santoro, ... come si chiama quell'altro ... Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica, pagata con i soldi di tutti, un uso criminoso. E io credo che sia un preciso dovere della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga "


Non c'è mai stato un Editto Bulgaro

"Non c'è mai stato nessun editto bulgaro ne' ho mai detto 'questi signori non devono lavorare in televisione', poi tutto è stato sconvolto. La verità è questa, che io criticai, e ancora la mia critica è valida, come veniva usata la televisione, sopratutto la televisione pubblica pagata con i soldi di tutti,e dissi i dirigenti nuovi che verranno dovranno evitare che ciò si ripeta, non c'era nessuna intenzione di fare uscire dalla televisione o di mettere dei veti alla permanenza in televisione di chicchessia. E' stato tutto deformato e strumentalizzato dalla sinistra"

martedì 6 novembre 2007

Romania


Sinceramente non capisco... Fini dice che dobbiamo mandare via tutti quelli che non dimostrano di avere mezzi di sostentamento. Io, tra amici e conoscenti conto almeno una ventina di persone in questa condizione. Ah, è vero, non sono rumeni. Però sono pericolosi socialmente. Eh già possono rompere la testa alla nonna a martellate o salire sul balcone e sparare all'impazzata. Possono violentare bambine e rubare caviale all'ipermercato. Possono addirittura salire sulla metro senza pagare il biglietto... Sono disperati...
Liberiamoci di tutti i disperati, avremo un'Italia pulita, bella e ricca. Se ci fermiamo solo ai rumeni non otteniamo nulla. Io direi di metterei anche i triestini, i siciliani, i sardi, i lombardi.... tutti.... . Resta un problema. I cittadini italiani dove li mandiamo? mica li possiamo mandare in Romania... uhm... Resta una soluzione... il nazismo era veramente arretrato e ne faceva una questione religiosa, ma noi che siamo moderni potremo usare lo Zyklon B in modo democratico, senza alcuna distinzione di religione. Viva l'Italia.

Gioco Compulsivo


Gli italiani stanno impazzendo. Regalano allo stato miliardi di euro. Entrano nei tabacchini e acquistano le schedine gratta e vinci. Andate nei quartieri popolari in particolare, in qualsiasi città, anziani, casalinghe, disoccupati, giovani, vecchi.... comprano e grattano.
Non riescono a smettere. Qualche piccola vincita, insignificante rispetto allo stillicidio quotidiano, li incoraggia e continuano, continuano.
Così come con le stupide slot machine.... tutti quanti abbiamo qualche amico completamente rincoglionito che perde giornate intere nei bar.....
Dicono che sia a causa della povertà... più la gente è povera e più gratta e si gratta... la micragna, la scabbia.... Porca miseria...